Martiri di Pizzocalvo

MARTIRI DI PIZZOCALVO (3 luglio 1944)

Da “GUERRA E RESISTENZA A SAN LAZZARO DI SAVENA” (W. ROMANI E - M. MAGGIORANI)

Nel tardo pomeriggio del 3 luglio 1944 fascisti delle “brigate nere” e tedeschi delle SS giungono a Pizzocalvo, una piccola frazione di San Lazzaro. Qui, da diversi casolari, vengono caricati su un camion - dopo averli anche malmenati - otto persone che stavano lavorando nei campi. Si tratta di: Ernesto Fini, Ermenegildo e Vittorio Giardini, Nerino Lolli, Antonio e Augusto Marzaduri, Guido Minarini, Luigi Nanetti (uno sfollato, ospite del pastore Nanni, vicino della famiglia dei Marzaduri). Gli otto fermati vengono portati a San Lazzaro. Non c’è certezza sul luogo: forse a villa Rusconi (in via Croara) o a villa Calzoni, entrambe occupate dai Comandi tedeschi. Testimonianze e documenti non l’hanno chiarito. Considerando il luogo dove furono poi trovati i corpi nella fossa - forse scavata da loro stessi - è credibile la seconda ipotesi (villa Calzoni) essendo questa situata a ridosso del luogo del ritrovamento. Infatti, cosa successe in quella villa non è dato saperlo; non si sa e nessuno l’ha mai detto. Si sa soltanto che tra la sera e le prime luci dell’alba gli otto prigionieri sono stati uccisi e frettolosamente sepolti fra le sterpaglie, facendo credere alle famiglie preoccupate per il mancato rientro dei fermati alle loro case, di essere stati portati al campo di smistamento di Carpi in attesa di deportazione in Germania. Solo alla fine di luglio, in risposta al Commissario prefettizio che chiedeva informazioni, il Comando tedesco si degnò di una risposta del tutto falsa (tranne, purtroppo, che i sequestrati erano stati barbaramente uccisi) in seguito - si diceva- ad un tentativo di fuga (come citato nel documento redatto dallo stesso Comando). Solo dieci mesi dopo, e precisamente il 17 maggio 1945, furono esumati dalla fossa dove erano stati gettati. Ma i corpi risultarono solo sette, non otto; mancava la salma di Guido Minarini disseppellito in quei primi giorni di luglio dietro l’interessamento del Prof. Scaglietti, primario del “Putti”, e portata al cimitero di San Lazzaro, purché l’operazione la si facesse di nascosto e non si rivelasse nulla alle altre famiglie dei fermati. Queste, si rivolsero al capo dei fascisti di San Lazzaro, un certo Zanarini, il quale disse loro che Guido, era stato ammazzato per avere tentato la fuga dal campo e che non avrebbero dovuto preoccuparsi e di stare tranquilli che agli altri non era successo niente. E invece… Il perché e la ragione di questo efferato eccidio restano un mistero. La cosa, come ha scritto lo storico Werther Romani nel suo libro, resta “inspiegabile e insensata”. - Erano forse partigiani? No, non lo erano. «Senza dubbio - scrive Romani - non sono stati ammazzati perché partigiani. Se ci fosse stato il minimo appiglio in questo senso, l’esecuzione sarebbe stata sbandierata come una vittoria contro i ‘banditi’». Era una prassi consolidata. - Non erano in regola con gli obblighi militari? Nemmeno questa poteva essere la ragione - ammesso che lo fosse - perché non tutti erano tenuti ad assolvere quell’obbligo. - C’erano stati contatti con i partigiani? «Degli otto - scrive sempre Romani - forse solo Guido Minarini, lavorando all’interno del ‘Putti’, poteva averne avuto... Degli altri, in particolare dei Marzaduri e dei Giardini, al massimo si può dire che non avevano simpatie per i fascisti; probabilmente l’avevano per i partigiani». Restano solo ipotesi. Scrive sempre Romani nel suo libro: «Dalle testimonianze dei famigliari, tuttavia, qualche ipotesi (solo ipotesi precisa) si potrebbero ricavare. Che in tutta la vicenda ci sia stata la partecipazione attiva di elementi fascisti locali appare indubbio. I Marzaduri e i Giardini, lo stesso Guido Minarini non erano ben visti dai fascisti: non si interessavano di politica, avevano rifiutato l’invito ad arruolarsi nelle brigate nere (che avrebbe significato aderire alla R.S.I. - Repubblica Sociale Italiana, ndr); qualche aiuto in cibo e vestiti agli sbandati di passaggio dopo l’8 settembre (1943, ndr) l’avevano dato, forse ne continuavano a dare anche a qualche giovane che di nascosto passava lungo l’Idice e lo Zena, diretto verso Monterenzio, dove ‘dicevano’ che ci fossero i partigiani. Questi sospetti probabilmente si intrecciavano con antipatie, contrasti, vecchie ruggini che sono quasi inevitabili nelle piccole comunità». Inoltre - è sempre Romani a parlare - «C’era anche l’ostilità che per alcuni di loro aveva il parroco di Pizzocalvo, don Elia Borri, certamente più amico dei fascisti che dei partigiani». In conclusione, Romani afferma: «Che l’iniziativa sia partita dai fascisti locali sembra più che probabile. Nel corso degli anni sono stati fatti anche diversi nomi, che in assenza di prove preferiamo omettere. Le cose, allora, potrebbero essere andate così. I fascisti, calcando le tinte, denunciano alle SS tedesche la presenza, nella zona di Pizzocalvo di partigiani, che avrebbero nelle case dei Giardini e dei Marzaduri le loro basi. I tedeschi, preoccupati di avere nemici così vicini alle sedi dei loro comandi, organizzano, con la complicità dei fascisti che fanno da spie e da guide, la spedizione. Catturati tutti gli uomini che vengono a portata di mano, li portano a villa Calzoni (o Rusconi - non è chiaro, ndr) per interrogarli, con i metodi che sappiamo. Ed è forse a questo punto che succede l’imprevisto. - Qualcuno tenta di fuggire, i tedeschi perdono la testa e ammazzano tutti? - Qualcuno muore sotto le torture e gli altri vengono ammazzati per evitare che ci siano testimoni? - Forse i tedeschi hanno capito che le accuse sono insostenibili e che è stata tutta una montatura dei fascisti per fare le loro meschine vendette? Sono solo ipotesi...». E restano tali, suffragate anche dal fatto che non ci furono indagini sulle salme dopo l’esumazione per appurare esattamente le cause della morte. Per cui, allo stato delle cose, non si potrà più conoscere la verità.

GROTTA DEL FARNETO (vivere in grotta durante la guerra/autunno 1944)

Siamo nell’autunno del 1944 e la zona del Farneto viene a trovarsi al “centro” delle operazioni militari. I continui bombardamenti alleati e l’avvicinarsi del fronte - la Linea Gotica allora era ferma ai confini con la Toscana - costringono i tedeschi a ‘serrare le fila’. Questi prendono posizione nella frazione - installando anche un pesante cannone rivolto a sud in direzione del Passo della Raticosa - requisiscono le case costringendo gli abitanti a lasciare le loro abitazioni e i propri averi. Per loro non c’è alternativa: o sfollare in zone più lontane dal fronte o, per essere più vicini alle loro case, andare a vivere nella grotta a quei tempi di libero accesso.

Va detto che la Grotta del Farneto e i tanti inghiottitoi presenti nell’area a monte dell’entrata principale, oltre che essere rifugio per sfollati per sottrarsi alle bombe, servivano anche come nascondiglio d’emergenza per i partigiani. In tanti, qualche centinaia di persone, scelsero temporaneamente questa soluzione non avendo trovato di meglio, in attesa che la situazione potesse migliorare con l’avanzare del fronte. La permanenza durò circa un mese finché i tedeschi, convinti che la grotta fosse anche utilizzata come rifugio dai partigiani, costrinsero gli ‘sfollati’ ad abbandonare il sito.

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